Hawaii tea. Sperimentazioni all’ombra dei vulcani

di Massimo MartinisLaureato in architettura all’Università di Milano, Ex-barman e torrefattore. Dopo una breve esperienza lavorativa a Tokio, ha concentrato il suo interesse nell’approfondire la cultura del tè Giapponese.

Tra le località più insolite in cui possiamo trovare piantagioni di tè, di sicuro ci sono le isole Hawaii. L’arcipelago, dal 1959 considerato il 50° Stato degli U.S.A., è formato da otto isole principali e molte altre isole minori, alcune di dimensioni minime, altre di proprietà privata, altre usate come terreno per strutture militari. Il capoluogo delle Hawaii è Honolulu, una città di quasi 400.000 abitanti, facilmente riconoscibile nelle fotografie per la presenza di molti grattacieli, che riflettono la loro immagine nell’acqua cristallina delle spiagge tropicali. Situate a circa 4000 Km dalle coste della California e a 6000 Km dal Giappone, le isole Hawaii furono scoperte nel 1778 dal celebre capitano Cook, durante il suo terzo viaggio nel Pacifico, prima di dirigersi verso le coste occidentali del continente americano. Come in tutti i territori colonizzati dagli europei nel corso del 18° e 19° secolo, vi furono molte dispute territoriali e purtroppo molti effetti collaterali sulle popolazioni autoctone. In particolare molti abitanti delle isole furono decimati dalle malattie portare dai coloni europei alla fine del ‘700. Nel 1876 le isole divennero un protettorato americano, ma continuò a sussistere un regime monarchico gestito dagli abitanti del luogo. 

Dell’arcipelago fa anche parte l’atollo delle Midway, reso celebre dalle violente battaglie aeree e navali della Seconda Guerra Mondiale. Altro luogo che ha segnato la storia militare degli Stati Uniti è Pearl Harbor, situato sull’isola di Oahu e attualmente parte dell’agglomerato urbano di Honolulu. Tra le molte personalità che hanno avuto origini hawaiiane spicca la figura del presidente Barack Obama, nato a Honolulu, anche se la sua attività politica è legata principalmente alla città di Chicago.

@Mauna Kea Tea

Ma parliamo di tè. Da alcuni anni gli Stati Uniti stanno scoprendo, o forse riscoprendo, una passione per il tè in foglia. Per certi aspetti si tratta di un fenomeno di cultura popolare, abbastanza superficiale, legato alla recente mania per il cibo “local” e “bio” che coinvolge un po’ tutto il mondo occidentale. Sotto altri punti di vista invece, bisogna ammettere che si sta compiendo un grande sforzo per dare una base scientifica ed economica alla coltivazione del tè sul territorio americano. Le prime piantagioni sono nate nel South Carolina, intorno agli anni ’80. A parti re dagli anni ’90 si tentarono alcune coltivazioni sperimentali sull’isola maggioe delle Hawaii, la Big Island. 

Quando si iniziò a coltivare tè sulla Big Island, si cercò di non lasciare nulla al caso, e tutto il percorso di selezione e crescita delle piante venne seguito dal Pacific Basin Agriculture Research Center USDA, che a partire dal 2001 ha condotto alcune ricerche sulle varietà clonali della Camellia sinensis che potevano adattarsi al clima e al suolo hawaiiano. Si individuarono innanzitutto tre aree geografiche rappresentative.

La prima, nella zona di Waikea, situata in basso, ad un’altitudine di circa 180 metri S.L.M. La seconda, a media altezza, nella zona di Mealani, a 850 metri S.L.M. La terza, la più alta, a circa 1200 metri S.L.M. nella zona di Volcano (Il cui nome ci fa intuire facilmente di che tipo di territorio si tratta). Si scoprì che nella zona più bassa le piante crescevano lentamente ed erano soggette a malattie ed attacchi da parte degli insetti. Nelle zone più elevate invece, il clima aiutava sia la crescita rapida che la protezione dalle malattie. Il clima, l’altitudine elevata e il suolo composto da rocce di origine vulcanica ha un effetto benefico sulla vita delle piante di tè che quindi si prestano a molti raccolti, durante tutto l’arco dell’anno. Sappiamo che invece in molte zone dell’Asia, le foglie vengono raccolte solo in periodi specifici, quando le piante hanno avuto il tempo di recuperare le sostanze nutritive dal terreno.

I biologi hawaiiani si sono anche occupati di selezionare le varietà clonali più adatte e hanno alla fine concentrato i loro sforzi su tre in particolare. La varieta Bohea, importata dal Fujian (Cina), che produce foglie piccole e ovali e si presta alla produzione di tè neri ed oolong ad alta ossidazione; la varietà giapponese Yabukita, dalle foglie lunghe e sottili, adatta alla produzione di tè verde e oolong a bassa ossidazione; la varietà Yutaka Midori, anch’essa originaria del Giappone, con caratteristiche simili alla Yabukita, ma che consente una crescita ottimale anche in condizioni di scarsa umidità.

@Mauna Kea Tea

Ma la sperimentazione più inaspettata è legata alla lavorazione delle foglie. Negli anni 2000, grazie al centro di ricerca del HTS (Hawaiian Tea Society), si è introdotto un metodo di lavorazione nuovo, che prevede il trattamento termico delle foglie con speciali forni a microonde. Del resto le tecniche di lavorazione del tè, alcune antichissime, sono spesso frutto delle tradizioni e della tecnologia locale, quindi perché non tentare una “cottura” a microonde sul suolo americano? La lavorazione del tè prevede 12 fasi distinte, che non andremo a spiegare nel dettaglio ma che possiamo riassumere così: dopo la raccolta le foglie vengono fatte asciugare alla luce del sole per circa 30 minuti. Vengono poi trasferite “indoor” e lasciate riposare. A questo punto inizia il trattamento a microonde. Inizialmente con cotture brevi di 30-45 secondi, seguite da fasi di riposo, per permettere la dispersione del calore e del vapore.

Sistemate le foglie su teli di cotone, si ripete la cottura, per 4 o 5 volte. A questo punto si procede all’arrotolamento dentro i teli. Si passano le foglie in un essiccatore e vengono lasciate riposare per 3 o 4 giorni. Infine si procede ad una cottura finale con forni tradizionali a circa 250°C. Questa tecnica molto particolare, a metà strada tra la vaporizzazione giapponese e la cottura a secco cinese, permette, secondo i produttori locali, di sviluppare meglio gli aromi e il gusto tipico delle foglie hawaiiane, che hanno assorbito i nutrienti dal terreno vulcanico.

In questi ultimi anni si stanno diffondendo le coltivazioni, in particolare sulla Big Island, vicino alle pendici dei vulcani Mauna Kea e Mauna Loa. Molte piantagioni sono di modeste dimensioni e producono tè di qualità per un mercato di nicchia, in particolare americano ed europeo. Alcune piantagioni però si dedicano ad una produzione di massa ed immettono sul mercato prodotti di bassa qualità e di largo consumo. Alcuni agricoltori stanno sviluppando contemporaneamente anche la coltivazione del caffè. Tra i produttori che si dedicano al tè lavorato con metodo artigianale possiamo citare la Hawaii Tea Company (HTC), Onomea Tea Company e Big Island Tea. Tra i produttori industriali ricordiamo la Hawaiian Natural Tea.

@Onomea Tea

Per poter valutare le qualità organolettiche dei tè isolani, ci siamo affidati alla tipologia di tè che rispecchia più fedelmente le caratteristiche del terroir: il tè bianco. Questa convinzione deriva dal fatto che il trattamento delle foglie è minimo (non essendo sottoposte né a cottura né a fermentazione).

Proprio nei tè bianchi hawaiiani possiamo trovare gli aromi decisi e insoliti che fanno parte di questo territorio. Il suolo di origine vulcanica, unito alle particolari condizioni climatiche, conferisce ai tè bianchi hawaiiani un’acidità sensibile. I gusti agrodolci come l’ananas e il limone sono quelli che si fanno notare ad un primo assaggio. Nonostante il gusto sia leggermente sbilanciato, la consapevolezza che dietro a queste foglie ci siano ricerche di laboratorio durate decenni, mi fa propendere per l’idea che questo ventaglio di sapori sia volutamente cercato. Nel caso di una zona produttiva poco conosciuta come le Hawaii, la strategia della riconoscibilità del prodotto sembra essere una carta vincente. Anche le altre tipologie ovviamente risentono di queste particolarità, ma la loro lavorazione complessa riesce a smorzare i sapori più decisi. 

Rimane purtroppo ancora molto complicato acquistare del tè hawaiiano in Italia. Alcuni produttori propongono confezioni da degustazione con pochi grammi di tè (6-12), al cui prezzo già alto bisogna aggiungere le spese di spedizione internazionale e infine sperare che la dogana italiana non carichi ulteriori tasse o, ancora peggio, blocchi la spedizione.

Nonostante questo, la dedizione e la cura con cui molti agricoltori producono queste preziose foglie, ci sembra convincente e degna di attenzione. Del resto il loro lavoro appassionato sta dando i suoi frutti e sulle isole si sta diffondendo la moda del tè pomeridiano. Molti locali di Honolulu si stanno convertendo a sale da tè in stile inglese, dove però, al posto dei classici scones con burro e marmellata, potreste anche trovare delle esotiche madeleines glassate al lilikoi, dei funghi Hamakua, o del roast beef con maionese al tobiko.